05 agosto 2011

Quest’anno ci sono due estati.
Una è la solita.
La voglia di sole. La pelle più scura.
I giorni senza pensieri.
I respiri succhiati dall’aria frizzante dei monti.
Le risa spruzzate di bianco di schiuma
dal rimpiattino salato di onde.
E poi un’altra.
Una più aspra, più amara, più dura.
Di tante vicende, lontane e vicine,
che raccontano avanzi di storie
tragiche e tristi
di crisi, di fame, di lutto.
Di vite svilite e sprecate.
Che tempo fa quest’estate?
Il bello e il brutto.
Nel medesimo tempo.
Seduto a poppa, inseguo pensieri
senza riuscire a catturarne qualcuno.
Sfuggono come parvenze sinuose,
serpentine retrattili.
Come refoli ansimanti di vento.
La barca lascia il suo strascico di scie.
Una sposa che scende dall’altare
e attraversa la navata
verso il sagrato della sera.
Dietro, laggiù spuntano piano
le lampare, stelle di mare.
Lumini accesi in segno di cordoglio
per un giorno che muore.
Candeline di festa e di vigilia
per una pésca che sia fortunata.
Una falce di luna crescente
-gobba a ponente-
si timbra sul foglio immenso del cielo.
Un nastro viola si srotola, lungo e sfumato, evanescente sull’orizzonte.
Separa l’acciaio battuto del piano marino
dal soffitto tirato a celeste.
Il cielo si specchia nel mare
e il mare è più bello
per quel cielo che ci si riflette
che l’osserva dall’alto.
Non c’è alcun movimento.
Calma piatta. Bonaccia.
Un lago senza sponde.
E sopra appoggiate sospese
le sagome nere tremanti
di piccole barche e puntini di luce
come tante abat-jour
nel locale notturno del mondo
che ha appena aperto.
Un’immagine ancora
da spillare sul pannello della memoria.
Da sfogliare in un album di polvere
e carteveline porose
quando gli occhi non avranno più
un difronte su cui abbandonarsi stupiti.
I delfini cuciono a giro
il tessuto argentato del mare.
Intrecciano lembi di rombi
come il mantello luminescente
di un mago gigante.
Salti di sarti giocherelloni.
Santi ragazzi
dall’eterno sorriso
che si infilano sotto le prue
e filano come siluri di pace e di gioia.
“Qui videro un delfino morente
mezzogirato di pancia
e un altro, forse una femmina,
che gli batteva col becco sul muso
come a cercare di rianimarlo”
racconta il marinaio compreso
e ancora commosso
“Poi, quando capì
che non c’era più niente da fare,
lo spinse sul fondo del mare
per dargli l’eterno riposo”.
Intanto arrivano echi di altre tragedie
e vittime e mancati soccorsi.
Se facessimo fare ai delfini
il mondo sarebbe migliore?
E noi che facciamo per gli altri?
Che aiuto portiamo?
Quante promesse sulla carta!
Ma un buonopasto è anche un pasto buono?
Quanta vera infelicità
è stata creata
per la finta felicità di pochi.
Ma è tempo di ferie.
Di vacanze, di vuoto.
Distrarsi, divertirsi, svagarsi, alienarsi.
Ridere fa buon sangue
ma come si fa a ridere
con tutto quel sangue versato?
Sempre più spesso penso che,
a questo punto del viaggio,
mi basterebbe assai meno.
Suonare.
Nuotare.
Fare l’amore.
Musica acqua baci carezze.
Nient’altro.
Perché tutto il resto è già stato fatto.
Ha avuto il suo corso.
Così come spero
che l’ultima stagione della vita
possa essere estate.
Prima che arrivi il malinconico autunno
e il torpido inverno.
Che so?
Un settembre inoltrato
o al massimo
un’inizio di tiepido ottobre.
Con qualcuno che dopo tutto
ci è rimasto accanto.
A dividerci la maestà del silenzio.
La magnificenza dello spazio infinito.
Lampo è un po’ che ha un amico.
Lino? Chissà forse è Lina…
Ogni tanto si piazzano insieme
accucciati sulla cupola bianca
a spiare lo spazio d’intorno.
Stanno lì. Uno di fronte all’altro.
Non so se si guardano
o se guardano in direzioni opposte.
Stanno così. Senza chiacchiere.
È il loro modo di farsi compagnia.
Non restiamo da soli.
Non lasciamoci ora.
Passiamo un buon tempo.
Perché il tempo passa.
Sdraiamoci a terra.
Sulla schiena ricurva del mondo
Appoggiamo la testa
e puntiamo lassù
una contraerea di sguardi.
E le stelle ci cadranno negli occhi.

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