30 maggio 2011

Verona, la bella Verona,
ancora anima la sua notte
fatta di strade piccole,
vicoli e vie inaspettate,
splendide scenografie,
fotografie di luce gialloaranciopresepe,
lastre di marmo bianco sui pavimenti deserti,
ombre fuggite nei muti portoni in penombra.
Non sai nemmeno
se le sue case sono abitate davvero
o se non siano là
rimaste e serbate
a memoria di un set teatrale
di un dramma in costume.
Anche il fiume potrebbe esser stato
costruito a circuito chiuso
con il flusso forzato
da cima a fondo
e poi riportato su
a ripartire dal via.
I ponti tengono unite e parallele le rive,
fermagli arcuati agganciati alla terra.
Le colline con le chiese,
le ville, i palazzi,
paiono disegnate, dipinte
come scenari di film colossali
degli anni quaranta/cinquanta.
È bella Verona
così bella da metterci
a nascere e morire
la più incredibile storia d’amore del mondo
mai raccontata.
La bellezza, la magnificenza.
L’ordine, l’armonia.
Vivere in mezzo al bello
è respirare aria pura e pulita.
Camminare in una mappa urbanistica
ben concepita
è come nuotare in un mare di cristallo,
come salire una montagna sacra.
Così erano tante città italiane
prima che i soldi, le speculazioni,
le corruzioni, l’avidità
progettassero brutti quartieri
e tristi formicai di periferia.
Mi affaccio e rimango appoggiato
a un’umile, rigorosa ringhiera.
Nei borghi due tipi di vita, due mondi distinti.
Quelli dentro i cortili
e quelli fuori le vie.
All’alba un morbido sole
si dà il primo colore
sulle tegole e i coppi dei tetti.
Poi si scalda all’arrivo dei suoni.
Gente e gente che gira,
nel brusio di domenica
e a ogni angolo rallenta un po’ il passo
e si guarda d’intorno.
I turisti a drappelli
spalancano bocche e cartine.
C’è una piccola folla sotto l’albergo.
Le amiche, gli amici
con le facce che so
e con i nomi che scordo,
che confondo o che sbaglio.
I compagni di viaggio,
di safari nelle savane delle emozioni,
che di solito
mi danno il loro saluto.
La buonanotte, il buongiorno.
Un pensiero, un regalo.
L’attesa, il sacrificio.
L’affetto.
E io sovente non trovo parole.
Si ritiene che sia timidezza,
pure se hai sessant’anni
e fai anche un mestiere
con uso spettacolo.
Ma andrà sempre così.
Non dispiacerti se talvolta
non so cosa rispondere,
mi nascondo dietro qualche battuta
o mi chiudo in silenzio.
Non dirmi troppo spesso che mi vuoi bene.
Ma fammelo sapere.

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