22 luglio 2011

L’altro ieri aspettavo la pioggia.
‘Forse arriva anche la grandine’
aveva previsto qualcuno.
Il cielo era gonfio.
Innervato di lampi.
Grondava di umori bluastri
e dentro chissà quali spasmi.
Quanti brividi di turbamenti.
Quante lacrime pronte a sgorgare.
Lo scuro restava giù in fondo.
Un esercito sulla collina.
Un’armata in attesa del segnale di attacco.
Invece non avanzò.
Ma sfilò lentamente sul lato sinistro.
Passava la sera. Senza spargere gocce.
Passava la flotta di cumuli e nembi
ma la rabbia non riusciva a passare.
Si avvertiva fumante nell’aria.
Un odore inespresso.
La rabbia, sì.
Quella che sale
come una marea
di mille anni
e milioni di petti.
Che si alimenta di vento
e trascina con sé
tutto ciò che si mette sulla sua strada.
Torrente, slavina, valanga, alluvione.
Tsunami.
La rabbia sorella gemella cattiva
della pazienza e della mitezza.
Quella nascosta in soffitta.
Quella pazza, deforme, violenta.
Quella chiusa, compressa, legata.
La rabbia che incendia i granai dei pensieri, che agita braccia e minacce di squasso.
La rabbia che esplode
come il barile che rotola senza controllo e s’infrange sull’alto portone del forte.
Il forte dei forti e potenti
che si son riparati lì dentro.
Che son troppo occupati da sé
per pensare davvero a quelli di fuori.
I saggi e i sapienti
che han smesso di essere tali
o che tali non sono mai stati.
Ed ecco allora la rabbia.
La rabbia da scontro.
La rabbia contro.
Contro il vuoto lassismo.
Il bieco cinismo.
La prepotenza usuale.
L’informazione truccata.
La salute violata.
Il mercato feroce.
La menzogna continua.
La furbizia imperante.
L’economia truffaldina.
La sopraffazione congenita.
Lo sfruttamento legale.
Il lavoro negato.
La corruzione perpetua.
L’arroganza sovrana.
Il bene sottratto.
La rabbia che monta.
Come un puledro montato
che disarciona il suo cavaliere.
L’uomo e il cavallo
nessuno potrebbe domarli
se non lo volessero loro.
Nel buio degli occhi
di colui che si piega,
di chi, buonobuono, si sottomette
rimane annidato un guizzo fiammante
di eterna rivolta.
E sotto la pelle lisciata
un tracciato di muscoli e vene.
Docili nelle lunghe nottate della vigilia.
A contare mansueti gli istanti
che fanno una vita
e a metterli in fila e da parte
in consunte matasse di tempo.
Sbuffi e sospiri appannati nei vetri
di quest’immensa sala d’attesa dell’universo.
In queste stalle oscure e silenti
che ci fanno da case e rifugio e riposo.
E là, con la sicura azionata
nel centro nevrile di spalle ribelli,
assaporiamo una nuova stagione,
un’alba più vivida,
l’origine ignota e sperata di un’altra emozione.
Il giorno che fosse, sarà
come togliere tutti gli ormeggi.
Levare l’ancora
e tirarla su come un’alzabandiera.
Mollare le cime e uscire dal porto
in un capriccio orgoglioso di vele.
In un volo di tele dorate di sole.
In un trionfo di ali spiegate.
Un destriero di mare
che salta il recinto dell’orizzonte
e si tuffa nell’insaputo.
Comunque si pensi
e se te la puoi permettere,
un passo davanti alla rabbia
-che tutto travolge
compreso se stessa-
c’è sempre la meraviglia.
La bella condanna della fantasia.
Almeno per un secondo.
L’illusione di un attimo.
Un flash abbacinante. Subliminale.
E sublime.
Quando non hai più l’età
o hai qualche agio o comodità
che ti tiene frenato
impoltrito in una poltrona
sprofondato tra troppi cuscini
rimbambito nella bambagia,
per pensare a un’insurrezione
devi credere a qualunque miraggio,
a un bagliore indistinto o fugace visione.
Un taglio, un riflesso già prefigurazione di quell’universo prossimo che chiamiamo, con struggente speranza, futuro.
L’unica voglia di rivoluzione che ha senso è quella dolce e affannata ideale e ideata di quando hai vent’anni.
In seguito, se ce n’è bisogno
è dramma e sventura.
La rabbia non ha mai del tutto ragione
ma non puoi darle torto
perché proprio da un torto subìto
si fa reazione e rivolta.
La rabbia non cresce da sola.
E da sola non vive.
Ha fascino, toni teatrali e slanci emotivi e fa fremere e dare testimonianza di sé.
Però non ha resistenza.
Si perde per strada.
Non va in paradiso.
L’acquisto di un’indulgenza si paga
con pezzi argentati di calma,
con spiccioli di gentilezza.
Di quella cortesia sorridente
nel saper dare retta ad un altro,
nel cedere il passo a un incrocio.
Perché è nelle vie
in fondo ai vicoli
nei viali smarriti di periferia
che vaga la rabbia e l’insoddisfazione.
E per questo che piace abitare più in alto.
Non solo perché c’è più luce e più vista.
Ma perché senti meno le voci dell’ira.
Giù in basso.
Puoi chiudere le tue finestre e far finta di niente.
Che è mezzanotte e tutto va bene.
Ma il seminterrato dell’anima fa sempre rumore.
È da lì viene il chiasso più forte.
Disturba. Schiamazza.
Non ci sono per questo tappi adatti alle orecchie.
Solo il sonno può smorzare il volume
fino a spegnere il suono del mondo.
E il mattino ha una musica chiara
tante piccole note vibranti
goccioline di una celesta
monetine di gioia da poco.
La sirena di un’ambulanza
stamattina, anche lei sembra dire
“Tranquilli. Sto arrivando. Tutto sotto controllo”
La mente corre a quei film bianco&nero
e la tromba che suona ‘Arrivano i Nostri’.
Siamo salvi?
Siamo salvi perché siamo vivi.

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