17 marzo 2011

È mezzanotte.
Di cuscini e tv.
Di notizie dal mondo
di terre che si spaccano
e che spaccano il cuore.
In alto
una coperta viola spento
di nuvole.
Un’unica coltre
che nasconde le stelle
e i consigli
per chi sta sulla rotta
per chi va nella via
per chi è in mezzo alla notte.
E in questa mezzanotte
tutto insieme
il cielo si imbianca di lampi.
Poi un tuono basso
che fa tremare i vetri
fuggendo lontano
e pioggia che salta
nel ritmo battente di gocce
sulla terrazza.
In fondo
il profilo grondante della città
flesciato dai fulmini.
E quando il temporale si spegne
anche Roma si rabbuia di più.
Mi fermo a guardarla.
Ho spesso pensato
quanto fosse
-come le altre italiane-
più spenta di quelle europee
americane arabe asiatiche.
A girare il mondo
la tele, la rete,
quante metropoli scopri,
così piene di luci,
lampadari monumentali
innalzati
all’onnipotenza degli uomini.
Che mai s’interrompe,
che cresce, che divora,
che spreca.
Che succhia energia
togliendo energie
a tutto il resto.
Un miliardo di poveri cristi
non hanno nemmeno
la prima energia
il cibo
e faticano a bere.
Dovremmo tornare
ad essere semplici
a fidarci del sole,
dell’acqua, del vento.
Ma chi è più capace di farlo?
Chi si ferma a pensare?
Per un po’ resto lì
a guardare le ombre notturne
e le rare puntiformi presenze di luce.
E la scena mi piace.
Discreta, soffusa, acquietata.
La tempesta è passata.
Almeno quella di fuori.

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