18 aprile 2011 – Domenica delle Palme.

Domenica delle Palme.
Un rametto di ulivo
benedetto di cielo
messaggero di pace
passato dalla mano di qualcuno
nella mano di qualcun altro
testimone di un pensiero
staffetta di un desiderio
scambio di una speranza.
Accordo muto
tacita promessa
patto silenzioso
tra due esseri umani
che si ricordano
e si riconoscono
di essere umani.
Da bambino
guardavo quelle foglioline verdi
attaccate sopra la cornice della porta
appoggiate a un quadro
o agganciate alla graffetta di un calendario
e vedevo un simbolo
minuscolo e gigantesco
prodigioso e umile
povero e potente
antico e ogni volta nuovo
capace di dare un significato pieno
al cammino verso un mondo migliore
incontro a un domani luminoso.
Il dono del perdono
prima di una colpa.
Il segno di un disegno superiore
più alto del rancore
più forte del terrore insinuato
instillato istigato
nelle stanze troppo chiuse delle coscienze.
Barricate dietro le cataste della diffidenza
ustionate dalla rabbia della viltà
morse dal pregiudizio stolido.
Soffocate da un sacco umido di plastica
braccate dalle torce del panico.
Questa paura dell’altro
che non è altro che paura di vivere
di respirare nell’aria di tutti
paura dell’umanità
che è paura di provare l’umanità
di un sorriso sincero
di un soccorso pietoso
di un aiuto leggero
di un impegno generoso.
Questa paura livida,
che pur di non perdere
ciò che non ci appartiene,
ci volta nell’indifferenza
ci gela nell’immobilismo
ci deforma nell’insulto
ci contorce nell’odio
Un altro è un me
un altro di me.
Gli altri sono come noialtri.
Non dovrebbero esistere noi e loro
perché tutti siamo altri di qualcuno.
Ognuno è un altro
per gli altri.
Qualche giorno fa
ho visto un carico di altri
venire imbarcato
per esser portato chissà dove
e chissà fino a quando.
Nel posto di partenza
o in un ennesimo arrivo precario.
L’importante era
che non fossero più là.
La nave andava
Una striscia di mare si ritraeva
si tagliava
si imbiancava
per farla passare.
Poi si ricomponeva
si ricongiungeva
si rimarginava
come a cancellare ogni traccia
ogni memoria
che quel cammino
fosse realmente avvenuto.
Così da dubitare che quegli altri
siano mai arrivati
mai stati qui.
Rimuovere il disagio.
Passare la coperta sulle orme del passato.
Bagnare lo straccio e lavare ogni impronta.
Ogni macchia.
In quel mare
tra poco magari
ci saranno barche e gommoni
a portare turisti e divertimento.
In quel mare
stanotte si specchierà
questo stesso chiaro di luna
che mi imbianca il terrazzo.
Beata la luna che è solo una
e non ce n’è un’altra.
Le stelle sono molto più piccole
e il magnifico sole
magnanimo si alterna
per non toglierle luce e attenzione.
Io, noi e gli altri
invece siamo tanti
con il problema di essere uguali.
Foglioline di ulivo
battute da pioggia e da vento.
La Domenica delle Palme finiva
e io congiungevo i palmi delle mani
come a pregare senza preghiere.
Quasi a pensare che un palmo era il mio
e quello contro
della mano di un altro.
Poi di taglio
ci ho tenuto riflessa la luna.
Per un momento
ho immaginato quel mare
lontano e scintillante
e un rametto sul muro
che col tempo
diventava d’argento.
E ho provato un senso di pace.

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