12 marzo 2011

Non so perché
ma tutt’a un tratto
ho pensato che,
se avessi avuto
un naso più piccolo
piatto sopra,
come dire, orizzontale
davanti arrotondato
pigmentato nero
un po’ umido
e le narici due buchi
bene in vista,
ecco così
avrei potuto essere
un cane.
Uno di quelli belli pigri
trascinosi e indolenti
liberi nella prigione di una casa
con l’unica compagnia
della propria solitudine.
Quelli che se ne stanno per ore
con il mento spalmato sulle zampe
a pensare a chissà che
e ogni tanto tirano su la testa
come se avessero avvertito qualcosa
poi sprofondano giù di nuovo
con un respiro
facendo finta di aver capito cosa
e che è tutto sotto controllo
tutto normale
tutto come sempre.
E invece non hanno capito niente
ma senza sforzo
se ne fregano.
Dopotutto
cosa mai dovrebbe accadere?
I giorni vanno via
uguali lentamente.
Che poi siano giorni
l’ho saputo da altri.
Per me potrebbero anche essere
settimane mesi anni secoli.
Sono un cane
e non ho mai imparato a contare
il tempo che scorre.
A dir la verità
non credo neanche
di essere tanto cambiato.
Non mi specchio quasi più.
Mi conosco a memoria.
Anche se qualche volta soprappensiero
abbaio come se fosse un altro.
Ah no, che scemo, sono io.
E ricomincia l’attesa.
Quella delle ore
dei minuti degli istanti.
Eh sì. Quella un po’ mi costa.
Quella si fa sentire.
Mi sembra che duri di più.
Ma io sono un cane
e una cosa che so
è aspettare.
Chi?
Un altro
quell’altro o quell’altra
il mio amico o l’altra metà di una gioia
il mio bene
la persona per cui tonfa il mio cuore.
Non importa
quello che insieme faremo.
Qualunque cosa sia
sarà il mio solo pensiero,
quello che gli uomini chiamano ricordo
e i poeti nostalgia,
quando con gli occhi nel vuoto
dovrò un’altra volta aspettare.
Mi sono, per caso, specchiato.
Ho un naso aquilino
bianco e puntuto.
E non ho nemmeno una coda.
Come farò a farti sapere
il mio amore
e che sono il cane
più felice del mondo
perché tu sei qui?
E solo perché tu ci sei.

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