18 luglio 2011 – Buon Compleanno

Un vento random
a intermittenza
fa il giro di tutte le stanze.
Sfoglia i giornali.
Rilegge gli appunti.
Che settimana impicciata!
E impiccata di impegni.
Due cene, due concerti e tre compleanni (più uno imprevisto).
E che festa sia.
Ma un compleanno perché si festeggia?
Un altro anno che se ne va
e uno è felice come una pasqua?
Un anno in più
che è anche un anno di meno
nel libro contabile di tutta una vita.
Forse per questo fin da bambino
ti portano in dono qualcosa.
Per distrarti. Per non fartici pensare su.
Per creare manovre diversive.
Strategie e tattiche consolatorie
con regali, festoni, cotillon e canzoni.
Così il fatto passa sotto silenzio
anzi sotto rumore
tra tappi che saltano, brindisi e canti.
“Tanti auguri a te”
che si attacca sempre un po’ troppo alta e più d’uno si strippa le corde vocali già prima di giungere al nome.
“Perché è un bravo ragazzo”
stonata senza alcuna vergogna.
Nel casino si arriva alla fine
e nessuno sospetta
che sotto sotto ci sia un mezzo inganno.
Ti levano un anno. Un anno passato.
Ti danno un presente.
È un compleanno di scambio.
Ma al genetliaco non si rinuncia.
Uno dei miei anniversari più riusciti
fu quello in cui feci otto anni.
Era appena iniziata la festa
che mi scolai di nascosto
un duedita di moscato dolce
quindi caddi svenuto
stramazzando – fortuna –
sul letto di mamma e papà
tra i pacchetti e i cappotti.
Feci cappotto anch’io.
Anzi kaputt.
Non lo sapevo
ma già bevevo per dimenticare.
Quattro anni più tardi
ci fu il compleanno col mio primo bacio.
Avevo appreso la tecnica
da un audace fotoromanzo sbirciato nel bagno e, per sette mesi, studiato teoria.
Ora era tempo di passare alla pratica.
Dovevo provare.
Ballando in terrazzo
con una più grande e pure più alta
la portai piano piano in un angolo buio
e le dissi “ti posso baciare?”
Lei rispose annoiata di sì
e dischiuse le labbra
tenendo i denti ben stretti.
Io agivo dal basso
un po’ formichiere
un po’ odontotecnico
ma non ci fu verso di violare
quel fortino di smalto.
Pensavo: forse non sono capace…
Un bacio è davvero così? Tutto qui?
Quella volta ingollai quattrodita
di vino spumante
e poi non ricordo più niente.
A vent’anni feci il mio compleanno straniero.
Lontano da casa.
A Varsavia in una stanza d’albergo
con i miei compagni di tour
e una decina attraente e allettante
di modelle polacche di fianco.
Scherzi ammiccamenti battute risate.
I maschi – è provato scientificamente,
in tutti gli studi di antropologia –
sono proprio più stupidi
delle dirimpettaie femmine.
Pensammo bene di movimentare il party.
Ci mettemmo seduti sul davanzale
a fare a gara a chi beveva di più.
Sui tavoli un mucchio di bicchieri e bottiglie.
Un sacco di ‘morti e feriti’.
Finiva la vodka, finiva la festa.
Il mio socio pianista
spiegò tre volte di seguito
in uno strano italiano
alla biondina di fronte
(che non capiva un’acca
in quanto polacca)
“Quando un mio amico fa gli anni
è come se li facebbi… facersi… se li faccio anch’io!”
E io di rimando, promisi:
“Tu suonerai con me tutta la vita!
Ora però sono stanco
e vado in camera mia.”
Lui biascicò “Dove vai senza me?
Non vedi che sei mezzo sbronzo?
Ti ci porto io!”
Infilammo una porta
e ci trovammo perplessi nel bagno.
Confusi, dopo un po’ di secondi e di tentativi falliti uscimmo a braccetto sul corridoio.
Dove crollammo a terra
addormentati abbracciati
finché qualcuno, un’anima buona, ci sollevò senza che lo sapessimo e ci depositò sui letti delle nostre camere.
Con niente indosso.
E nemmeno un’indossatrice.
Restammo due giorni ubriachi.
Da allora non ho mai più toccato una vodka.
Nei compleanni si beve un pochino di più o, a scelta, un po’ troppo.
‘Stasera mi voglio prendere una bella ciucca’
si usa dire trionfanti e convinti.
È un modo, chissà, per superare indenni
un evento così memorabile.
Arrivarci un po’ carichi, allegri.
Mi chiedo: gli astemi che fanno?
Si aiutano con altri espedienti?
Tipo abiti strani. Capelli acconciati diversi.
Di solito, li tirano su.
Donne e uomini.
E già, anche loro. Quelli a cui ne restano pochi e sfoggiano un bel riportino da sotto.
Che nella caducità delle cose del mondo
e delle feste che durano a oltranza,
si disfa nella lunga ossessiva ostensione dei corpi.
Le giacche si tolgono.
Le cravatte si allentano.
I colletti si slacciano.
Gli aloni si allargano.
Le scarpe si sfilano.
Le zip si aprono.
Epilogo di una cerimonia..
Il prologo invece si fa cominciare dall’atto di annuncio.
E l’invito se scritto ha una formula spesso formale.
C’è sempre una cifra di orgoglio e di enfasi nella frase stampata in belle lettere decorative.
‘Tu/Lei/la S.V. è invitata’.
Neanche fosse la proclamazione di un premio un’onorificenza una nota di merito un concorso riuscito.
In un invito vergato a mano
c’è la carezzevole lusinga
per cui ogni invitato è l’invitato speciale quello indispensabile.
“Devi assolutamente venire”.
“Sei l’ospite più atteso”.
“Non puoi mancare”.
L’invito a voce è al contrario
oralmente di basso profilo.
Minimalista. Modesto.
“È una festicciola”.
“Faccio giusto una cenetta”.
“Pochi amici. Senza impegno”.
“Se non hai di meglio da fare…”
Che poi se ci vai, vuol dire davvero
che non avevi niente di meglio.
L’invito verbale è vagamente offensivo.
Per la serie Se ci sei o non ci sei fa lo stesso.
Nella smania di celebrazione di anniversari c’è un che di sistemico.
D’inesorabile. D’inevitabile.
Se non scampi ai primi –
vicenda impossibile perché lo decidono per te due altri esseri umani che chiamansi genitori – scatta in seguito la successione fatale la progressione ordinale la malattia da collezionismo.
Insomma uno tira l’altro.
Come le ciliegie. O le patatine fritte. O i frutti di mare.
O i baci dei giovani amanti.
Per questi i compleanni un senso l’avevano.
Si ballava allacciati
strofinandosi guance, petti e cuori.
Temo però che sia un’usanza perduta.
Come salir su una sedia e dire la poesia imparata a memoria con la mamma o la zia a fare da gobbo cioè a suggerire.
“Come mai? Dilla bene! Te la sei già scordata?”
E alla fine la recitavano loro: o la mamma o la zia.
I bambini – anche quelli di oggi –
vanno in brodo di giuggiole
nel dì della propria festa.
Si sentono ancora di più al centro dell’universo.
Se invece la festa è di un altro piccino si trasformano presto in adorabili mostri.
Disturbano, frignano, non stanno mai fermi.
Scappano in gruppo, passando giù giù sotto i tavoli.
Strusciando dolenti ginocchia di nonne.
Pestando le fette callose dei nonni.
Chiedendo insistenti con stridula voce
già dieci minuti dopo l’inizio
“Quand’è che andiamo via?”
Anche tra gli ospiti adulti
c’è chi se ne va quasi subito.
Son quelli che ‘loro’ si svegliano all’alba.
Che senza di loro il mondo si ferma.
E di contro c’è chi resta fino alla fine e anche dopo la fine.
Non ha un tubo da fare
e il compleanno sembra il suo.
Come si fa a riconoscere l’autore degli anni?
Se donna e se a casa
ha intorno un capannello di gente
che la guardano come se
non l’avessero mai vista prima.
Tipo gabbia allo zoo
o attrazione di uno strip-tease
o al tavolo intorno a uno show di lapdance.
Se uomo e si fa al ristorante
è colui che si assenta
prendendo la giacca e il borsello
mentre gli altri si versano amari, grappini e wisketti.
La durata della sua latitanza
dipende da quanta è la lite con l’oste sul conto.
La moglie del festeggiato
parla a voce alta
con donne della sua età
di borse, vestiti e massaggi
mentre queste annuiscono serie.
Il marito della festeggiata
parla a bassa voce
con donne più giovani della moglie
di non si sa cosa
mentre quelle ridacchiano sconce.
Gli argomenti – va da sé –
son molto comuni.
La parola più usata è ‘vecchio’ e suoi derivati:
vecchiaia, invecchiare, invecchiato, vecchietto…
In un compleanno si dice Ciao Vecchio
già a uno di ventidue anni.
Da cui si conferma quanto sia folle e suicida sottoporsi a questa tragedia della vita reale.
A questo appuntamento di giubilo.
Per gli auguri esiste una vera e propria letteratura.
Si osa fino all’iperbole poetica
citando una stella del cielo
un granello di sabbia
un raggio di sole
una goccia del mare
pur di paragonare il compiente
a una meraviglia del creato.
I prosaici e i sintetici non vanno mai oltre ad Auguri TantiAuguri TantiCariAuguri TantissimiAuguri UnMilioneDiAuguri Complimenti ComplimentiVivissimi Congratulazioni Felicità Felicitazioni ViveFelicitazioni Ad Maiora.
Queste locuzioni ultrasperimentate
si scarabocchiano sui biglietti che accompagnano i pacchi.
E che vengono letti soltanto in presenza del donatore.
Se lo scartamento avviene più tardi e in privato il ricevente va dritto al regalo.
Il biglietto classico è piccolo e bianco.
Ci entra appena la firma, la data e un pensierino succinto.
Poi si passa ai più grandi, di tutti i colori, di tutte le forme.
Biglietti artistici, con scene sacre e stampe d’epoca.
Biglietti ecologici a riciclo continuo e lavaggio di senso di colpa.
Biglietti jukebox con motivetti inerenti e gracchianti.
Biglietti con pregevoli doppisensi
con tanti puntini di sospensione
e un esercito di punti esclamativi che danno stupore, allegria e insinuano molto.
Biglietti di fantasia con vignette ad effetto in cui quasi sempre sei raffigurato al pari di un animaletto:
un cagnetto, un gattino, un leprotto, un topino, un pesce, un maiale, una scimmia, un leoncino, un ippopotamo, un rinoceronte, un elefantino.
Con lo slogan finale rassicurante
“Sei sempre il più bello”
“Sei ancora il più in gamba”
“Sei il più forte di tutti”
Ma intanto ti hanno abbinato a una povera bestia.
Tra i chiacchiericci che fanno il rumore di fondo si stacca il discorso ufficiale.
Uno snodo fondamentale.
È bizzarro poter constatare con quanta insistenza “di-scor-so-di-scor-so-di-scor-so-di-scor-so…”
chiedano tutti una cosa della quale
non gliene può fregare di meno.
Tant’è che durante il festino
tutti ciarlano con tutti di tutto
meno che del motivo per cui sono là.
Ma, al tintinnio del coltello
sul fianco del calice vuoto
si azzittiscono, tra gli ssscccc dei più attenti e solerti poi si voltano a sentire senza ascoltarlo.
È miracoloso vedere con quanta commendevole pietas con quale cristiana sopportazione attendano quelle parole.
Qualcuno è commosso già prima.
Qualcun altro gli si stringe accanto, a supporto.
Alcuni altri ancora – ormai la parte maggiore – sono là, schierati di fronte,con macchine, tvcamere e telefonini pronti a immortalare il momento solenne
come i fotoreporter al red carpet dei divi.
Il neo-oratore chiamato a gran voce
si ritrae, si nega, si lascia pregare,
sì, no, temporeggia poi attacca con il solito “Grazie a tutti e arrivederci a ‘st’altr’anno”.
Come se questo non fosse bastato.
Il prossimo anno farà lo stesso discorso.
Alle spalle c’è un tizio che scalpita
per spenderne un altro in aggiunta
o al posto del primo.
Il suo pistolotto è giàppronto. Precotto.
Lo si intuisce dal fatto che, dopo il “Caro…”
e ogni volta che deve ripronunciare
il nome del titolare del compleanno,
esita un po’, si concentra e alfin compiaciuto dice quello azzeccato, senza confonderlo.
Il predicozzo ha lo stile di una sentenza.
Lo legge: è uguale per tutti.
Basta solo ‘aggiornarlo’.
Il discorso si fa tra la torta e il cincin.
Ogni brindisi è un’asta con offerte diverse e in tutte le lingue.
Evviva Salute Santé Cheers Proost Prosit Kampai A Noi Hurrà Na Zdorovje Ganbei Salud Pare una bevuta plenaria nel palazzo dell’ONU.
La torta è l’attrice non protagonista.
Attesa, spiata, svelata, applaudita.
Al suo ingresso esclamano tutti “Che bella!”
In genere è tonda, quadrata o rettangolare.
La prima variante è a forma di cuore.
Ci sono versioni kingsize:
a cilindro gigante dal quale fuoriesce
a sorpresa biondona in bikini
o gangster con mitra.
Esistono quelle a più piani
attico superattico
panoramicissime rifinitissime.
Per cantanti e attori la torta si fa
con riproduzioni di cover di dischi
o poster di film
e tutti esclamano “Che peccato tagliarla!”
Le scritte ormai dopo miliardi e miliardi di anniversari sono ampiamente collaudate.
L’unica che rimane ancora insidiosa è l’inglese Happy Birthday per via delle acca e le york.
Sulla torta si pongono le candeline.
Un tempo in numero uguale alla somma degli anni direttamente proporzionale a delirio, insistenza, ostinazione, testardaggine e pervicacia nel voler far sapere all’intero mondo riunito quanto uno è divenuto vegliardo e rincoglionito.
Con quella tortura barbarica
qualcuno rischiava di restarci
per arresto cardiaco
per spegnere tutte quelle fiammelle.
Tutto ciò fra battute d’incoraggiamento tra il salace e il feroce, mentre il salone si trasformava in arena.
Ma non era carino schiattare
il medesimo dì della data di nascita.
Si mise, perciò, una candela più grande per le decine e altre piccole per le unità.
Questa brillante trovata
insieme alla prodigiosa tecnica d’iperventilazione prima del tremendo cimento portò a sensibili passi in avanti abbassando di molto la media della mortalità in concomitanza del genetliaco.
È abbastanza recente l’applicazione di quelle in genere rosse, indicanti una cifra.
In pochissimi ne spengono tre.
Tra vip e similtali è in voga costante
infilzare la torta con dei razzi da capodanno fiamme ossidriche lapilli e scintille che bruciano dita e polsini dei camerieri e le sopracciglia di chi è addetto al soffiaggio.
Tutt’ora simpatico è l’uso di quelle candele che non si estinguono mai.
Il novello Eolo, cianotico, contrae un enfisema ai polmoni mentre intorno, però, tutti ridono.
Sganasciamenti, battimani, auspici in rima baciata o alternata sono la colonna sonora detta anche caciara che sommerge il complessino o il pianistabar che suona svogliato la solfa consueta di pezzi da festeggiamento.
Le azioni si ispirano a gesti assai risaputi.
L’atroce ganascino al pargolo in festa
che subito sfocia nel dramma del pianto a dirotto.
La toccatina accidentale, la palpata casuale, la strizzata amicale alla debuttante fanciulla in fiore.
La pacca cameratesca sulle spalle del misero pungiball umano con accompagnamento di affettuosi e delicati epiteti:
mona pirla cazzaro fregnone porcone minchione coglione stronzone puttaniere troione sòla scorreggione mezzasega cazzone pippone pipparolo mascalzone canaglia caccola cacchina merdaccia e via discorrendo.
Le frasi fatte di uso frequente per chi frequenta gli anniversari sono:
-Cento di questi giorni- che non se n’è mai colto il senso.
Se sia altri cento compleanni per cui sa di leggera presa ai fondelli.
O ancora cento dì che più di un augurio è un verdetto di vita restante assai corta.
-20 anni (ma anche 30, 40, 50, 60, 70, 80, 90) si fanno una volta sola- Come se le altre età tornassero invece più volte.
Però i genetliaci a cifre tonde tirano parecchio di più.
Fanno eccezione i 18 anni. Quando diventi ormai maggiorenne.
Anche lì si festeggia coi botti.
Da lì in poi non avrai mai più scampo.
– Quanti sono? Quanti ne fai?-
Per cui ne deriva che al ricevimento c’è un bel po’ di gente che non sa una cippa del proprietario degli anni.
-60 compiuti o 60 iniziati?-
Compiuti, compiuti.
A questa improvvisa, dolorosa rivelazione l’annoso di turno prorrompe lagnoso:
“Non me lo dite. Non mi ci fate pensare!”
Come se tra sessanta e cinquantanove
ci fosse tutta ‘sta differenza!?
La differenza però si misura
quando vengono aperti i regali.
I portatori sani di dono hanno frasi paradigmatiche per mettere le mani avanti.
“Tu hai di tutto. Non si sa mai cosa ti si può regalare”.
La seconda nasconde premura e complicità:
“Se non ti va bene, puoi sempre prendere una taglia più grande”.
Così ti hanno detto che hanno più di un sospetto che tu sia un falsomagro.
La terza è ancor più deprimente.
“Se non ti piace, puoi andare a cambiarlo con qualsiasi altra cosa tu voglia”.
Non facevano prima a spiegargli
che avevan lasciato un pagato al negozio così che prendesse il cavolo che gli aggradava?
Ma la cosa che suscita più compassione
è il singhiozzo col quale il detentore degli anni rimira il portachiavi o il portafogli o il portamonete l’ennesimo che ha avuto in regalo.
“Che bello. Bellissimo. Mi serviva proprio.”
A quel punto l’amico o il parente
si autorizzano a esagerare:
“Ne ero sicuro. Appena l’ho visto ho compreso subito…
che era fatto per te. Che era il tuo!”
E questo è proprio il tuo compleanno.
Ed è un po’ il compleanno di tutti.
D’altronde un po’ tutti si camuffano dietro a un “Se fosse stato per me stavolta non avrei fatto niente.
L’hanno messo su loro,
organizzato tutto, in tutto e per tutto, gli altri.”
Come il funerale.
È un altro modo per farti la festa.
Buon compleanno.

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