27 maggio 2011

L’ho detto altre volte.
Diventar noti vuol dire
esser conosciuti
da chi non conosci.
Stupefacente. Iperbolico. Strabiliante.
Di solito infatti
se uno sa chi sei tu
tu sai grosso modo chi è lui.
Invece l’uomo pubblico
magari sta sulla bocca di molti
(a lui ignoti)
o addirittura di tutti
nel bene e nel male,
per cose vere e non vere,
leggende, blabla, illazioni
che il più delle volte
non verrà neanche a sapere
o a capirne il come e il perché.
D’altronde si dice da sempre
che di questo il mito si nutre.
Anche con questa argilla
è costruito il suo piedistallo.
E se le statue, prima o poi, si buttano giù, i piedistalli mai.
Possono sempre servire.
Così per i miti di ogni tempo
la materia prima
sono storie, dicerie, pissipissi.
Narrazioni anonime, voci di corridoio,
fonti ben informate.
Su quelli che,
semidei o uomini interi,
non vivono mai veramente
ma neanche poi muoiono mai.
Un po’ l’uno, un po’ l’altro,
metà divo, metà mortale,
fuori diverso, dentro normale.
Algido con le stelle.
Umano con gli umani.
Qualche giorno fa,
all’indomani di una tragica alba di naufraghi sugli scogli dell’isola, come fosse un premio, una riconoscenza al valore, stringevo le mani di chi aveva stretto mani in cerca d’aiuto.
Mani di colore diverso.
Sconosciute, straniere.
Mani a cui offrire soccorso.
Mani a cui dare una mano.
Senza pensare, senza calcoli.
Senza mediare.
Un uomo è un fine
non un mezzo.
Eppure assai spesso
usiamo la testa
invece che il cuore.
Gli animali sono capaci d’amore
pur senza aver letto di Dio
senza minacce di Inferno
né promesse di Paradiso.
Senza sapere di un’altra vita.
Forse l’anima è questo.
Un animale “sa” di Dio
nei due sensi:
riuscire a saper di qualcuno
vuol dire anche averne il sapore.
Cosi gli assomiglia,
è una parte di esso.
È lui. Perché ce l’ha dentro.
Perché gli animali
sono parte del ciclo del mondo,
lo accompagnano,
lo condividono.
Non hanno la pretesa degli uomini
di correggerlo, di cambiarlo,
di farlo diverso,
identico a loro,
a propria immagine e somiglianza.
Non hanno la smania di dirigerlo,
di divenirne padroni
assoluti.
In questo momento penso che
Dio mi conosce
anche se io non l’ho mai visto da vicino.
O forse ce l’ho talmente vicino
che a volte lo perdo di vista.
Ma in questi anni
vogliamo vedere tutto con gli occhi.
Sembra, appare o è per davvero?
Dio deve essere grande sul serio
se continua a dar retta
a noi che gli rivolgiamo preghiere,
che lo chiamiamo supplicanti
fino a scongiurarlo
quando abbiamo bisogno,
nel dolore e in difficoltà.
Per questo gettiamo lo sguardo
su, in alto.
E perché poi lassù?
È un uccello, un pilota spaziale,
un alieno, un extraterrestre?
E se invece guardassimo giù
non farebbe il medesimo effetto?
Se lo sguardo ci cadesse dentro
e vedesse per la prima volta
ciò che chiamiamo essenza,
anima, coscienza…
Ma ci pensi?
Esser conosciuto da chi non conosci.
Te stesso.

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